Ernesto Mattiuzzi (1900 – 1980)
Il disegno. Officina della forma e dell’anima
Nel lontano 1932 Ernesto Mattiuzzi realizza uno Studio di mano di commovente realismo e perizia grafica. Il dorso marcatamente maschile con le dita aperte su una superficie indistinta, lascia intravedere i solchi della pelle contratta e gli alvei marcati delle vene che irrorano sangue e forza. “La mano è l’uomo stesso” diceva Anassagora, “La mano è ciò che ha reso l’uomo u-mano” scrive Giuseppe Di Napoli nel bellissimo testo “Disegnare e conoscere”: lo Studio di mano di Ernesto Mattiuzzi descrive un arto potente, energico, capace di afferrare e trattenere ogni cosa. Nulla sfugge a quella presa reale, omnicomprensiva. Qui si racchiude, a mio avviso, tutto il senso della parabola creativa di Ernesto Mattiuzzi, che pone al centro di ogni indagine l’affondo nel reale e la documentazione mimetica di tracce sensibili e vitali. Alla base del suo universo pittorico fatto di ritratti, paesaggi, nature morte, nel pieno rispetto di una tradizione accademica classica magistralmente rivolta al figurativo, vige l’impero assoluto esercitato dal disegno, inteso come atto creativo puro e imprescindibile. Il disegno manifesta l’idea, concretizza l’atto del pensare e del vedere, costituisce, come sostenevano gli antichi, la base di tutte le arti, e rappresenta una sorta di linguaggio culturale universale che consente la forma più alta di comunicazione. Per un pittore del Rinascimento, nella fattispecie toscano, partendo dagli insostituibili insegnamenti di Cennino Cennini contenuti nel suo “ Libro dell’arte o Trattato della pittura”, il disegno rappresenta il medium privilegiato e necessario attraverso cui si devono controllare e portare a compimento i passaggi ideativi e strutturali dell’opera finale. In Leonardo il disegno è innanzitutto strumento di conoscenza, ciò che esiste e si vede deve assumere una veste grafica e va documentato attraverso un “disegno bono” che richiede abilità, pazienza, esercizio (tutti conosciamo la precisione e la veridicità dei disegni anatomici e botanici del grande Maestro). Possedere capacità grafiche diventa un criterio di selezione degli artisti a corte e, nei secoli a venire, Goethe porrà l’accento sulla similitudine e interdipendenza di disegno e scrittura, mentre Canova riconoscerà alla linea quel valore plastico e volumetrico che si fa “carne” nella sinuosità del marmo levigato. Sul retro del disegno Sugli scogli del 1960, Ernesto Mattiuzzi scrive “Il vero pittore quando dipinge, disegna, e quando disegna, dipinge” e ancora “Nell’esecuzione di un disegno (…) il tratto di matita o di penna concentra in sé il massimo di espressività che può dare l’interpretazione della forma”: dichiarazioni, queste, che senza dubbio attestano l’importanza della stesura grafica nella ricognizione e riproposizione delle forme visibili. Acceso difensore e sostenitore dell’arte figurativa, come si legge nelle pagine illuminanti di “Arte fra le due guerre”, mirabile raccolta di saggi critici, articoli e lettere dello stesso autore, Ernesto Mattiuzzi, di fronte alla con-fusione e frantumazione dei linguaggi artistici del secondo dopoguerra e poi degli anni sessanta-settanta, ribadisce, sempre, il valore della tradizione e quindi l’impossibilità di qualsiasi innovazione disgiunta dall’assimilazione dei circuiti formali prodotti nelle epoche precedenti. Il disegno è per eccellenza tradizione, storia, decifrazione di un saper fare di matrice classica che trova nella realtà contemporanea una fonte d’ispirazione straordinaria essendo la natura, con i suoi fenomeni, all’origine di ogni ideazione e realizzazione. Nella sezione, ampiamente documentata nel presente volume, dedicata ai ritratti e agli studi d’espressione, Ernesto Mattiuzzi con l’utilizzo preciso delle linea e del tratteggio, costruisce una geografia di volti di penetrante varietà, incluso un certo gusto per l’esotico, riscontrabile in tanti schizzi e studi. Accogliendo la lezione colta rinascimentale e gli insegnamenti della scuola veneta, lontano da ogni seduzione fotografica perché, a detta dell’artista, produrrebbe risultati artefatti in quanto contaminati dal medium tecnico, i volti disegnati di Ernesto Mattiuzzi si appellano alla luce dell’interiorità, aspirano ad una traduzione psicologica del carattere e delle emozioni. Ricchi di accesi contrasti chiaroscurali, di sovrapposizioni segniche continue, a formare solchi sprofondati nel buio della grafite, le molte facce di vecchi e di vecchie appaiono come paesaggi dell’anima, trasposizioni mimico-gestuali dei recessi del pensiero e del cuore, antropometrie vitali stigmatizzate nelle rughe aspre e fitte, nella pelle scura, disidratata, consunta dal sole. Nello studio per La pazza del 1955 a cui seguirà un dipinto, come pure nello studio per La vecchia che gioca a carte del 1954, Ernesto Mattiuzzi usa un tratteggio continuo, ortogonale e obliquo per rendere la densità dello sfondo e ritagliare, con impeto, da un lato, la risata icastica e allucinata della donna in piedi e in preda alla follia, dall’altro, il silenzio concentrato e risolutore dell’anziana signora seduta al tavolo davanti alle carte da gioco. La metafisica degli oggetti, sempre pochi, misurati e calcolati per non inficiare e compromettere l’autenticità delle espressioni, conferma la predilezione dell’artista verso atmosfere e ambientazioni pacate, rese analiticamente attraverso gli spessori del legno ravvisabili nelle sedie, nei tavoli, nelle stanze che accolgono gli “attori” e nei bastoni che spesso li sorreggono, senza trascurare la materia tattile delle stoffe indossate dai vari personaggi dove la matita restituisce la pesantezza del cappotto delPortinaio del 1946 dell’ Ebreo errante del 1945 e dei tanti mendicanti e derelitti ai margini delle strade.
E’ una vera commedia umana quella che nasce dalla penna dentro la realtà del tempo: gli ambulanti, i venditori di uova, di castagne, di limoni, raccontano la vita di strada, riassumono in sintagmi grafici scene vicine alla grande tradizione neorealista, immortalata da celebri registi. Ernesto Mattiuzzi realizza una narrazione filmica dove l’occhio registra la porzione di visibile che la mano esperta traduce in immagine e mai in dissolvenza, attento alla resa del particole nell’universale, pronto a rinunciare ad ogni orpello visivo in favore della sincera e fedele riproposizione del dato oggettivo. La sua vis comunicativa, credo, stia anche nel felice connubio, già ricordato, con la dotta tradizione pittorica: Mercato sotto la pioggia del 1939, ad esempio, richiama certe situazioni care all’Impressionismo ma nello stesso tempo evoca luoghi e movenze vicine alla poetica della rivista “Valori plastici” a al movimento “Novecento”, avulsi, si sa, da ogni avanguardia e sperimentazione, in virtù di un supremo riferimento all’antichità classica, alla purezza delle forme e all’armonia compositiva. Equilibrio e ordine, fascino e potenza della linea nella gioia appagante e sinuosa delle curve, si leggono compiutamente nel gruppo di disegni risalente agli anni cinquanta che vede come protagonista la figura femminile. Con sguardo aptico e con un tratteggio allineato e parallelo, a volte incrociato, funzionale ai decisi contrasti chiaroscurali nei passaggi frequenti dalla luce e dall’ombra, Ernesto Mattiuzzi dà vita ad un compendio di movenze e atteggiamenti femminili di sapore antico (Prigioniera del 1954), non esente da certo elegante pittorialismo, e assolutamente degno di attenzione per i singolari effetti di rilievo plastico-scultoreo. Il nudo disteso classico e neoclassico, nel ricordo di Tiziano, e delle odalische di Ingres, ritorna ne Il risveglio del 1936, splendida esaltazione della bellezza e sensualità del corpo, risolto in un gioco di alternanze ritmiche studiate, di variegate modulazioni concavo-convesse, di zone illuminate (le lumeggiature del lenzuolo) e di parti in ombra (il buio della parete). La luce scivola sulla pelle levigata, segna le linee di contorno e di confine, e la figura appare nel velluto dell’incarnato, nella morbidezza e soavità del gesto che fa capo al risveglio. Come sirena sugli scogli o come tronco d’albero circondata da putti-neonati (Fecondità del 1956), la donna nuda è preferibilmente disegnata con agli arti superiori sollevati in segno di elevazione, di energia appagante, di felicità.
Immagine forte, di innocente evasione, icona perfetta di un sogno collettivo, la figura femminile di Ernesto Mattiuzzi rimane tuttavia avvolta in un nimbo di castità e pudore, di grazia e riservatezza confermata dagli occhi che non guardano mai l’osservatore, dallo sguardo spesso in tralice, che vaga oltre la superficie e lo spazio consentito. Commovente il volto di Maddalena del 1940, ovale perfetto, pieno, incastonato nella luce, una sorta di traduzione laica dell’”Annunciata” di Antonello da Messina. Le mani giunte, in atto di preghiera, confermano l’attenzione dell’artista rivolta alla descrizione delle mani, sulle quali, da sempre, si misura l’abilità di un pittore nella verosimiglianza della realtà. Ma Ernesto Mattiuzzi è notevole anche nei disegni di paesaggi e di città: il gioco dei pieni e dei vuoti, delle parti in luci e ombra, ben si presta alle “riprese” naturalistiche de Il bosco del 1959, e nella trascrizione delle architetture veneziane. Qui all’esattezza topografica dei luoghi si uniscono la resa del dettaglio, la qualità atmosferica della nebbia soffusa che avvolge ogni cosa e la danza dei riflessi sulla superficie dell’acqua. Condizioni ambientali note ad Ernesto Mattiuzzi, veneziano di nascita, coneglianese di adozione, ma artista profondamente classico, fedele alla forma e ai molteplici aspetti del mondo concreto. Nel disegno scopre la magia della genesi creativa, la proteiforme bellezza della natura e insieme l’alchimia del gesto che dispiega in visione l’atto del guardare. Nell’eclettismo delle forme inseguite, nella poliedricità delle suggestioni ricercate, si manifesta una volontà di sondare e sperimentare ogni aspetto sensibile anche a prezzo, a volte, di esercizi stilistici forse troppo manierati ma sempre onestamente difesi. La pratica quotidiana e l’esercizio convinto e assiduo, al di là di ogni moda o di qualsivoglia atteggiamento artistico conclamato, hanno reso la sua pittura e in primis il disegno, uno strumento di conoscenza, un linguaggio universale intriso di relazioni, capace di esprimere ciò che le parole non sempre consentono di dire e descrivere, rendendo così l’invisibile manifesto e scoperto.
LORENA GAVA
Testo tratto dalla presentazione del libro dell’artista Ernesto Mattiuzzi
“Il disegno. Officina della forma e dell’anima”, tenuta in Treviso e Conegliano -2013.