Ernesto Mattiuzzi  (1900 – 1980)

 

UN PITTORE TRA CLASSICISMO E MODERNITA’

 

Quando Ernesto Mattiuzzi riceve la sua formazione artistica all’Accademia di Venezia, negli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale, è vigente in città un clima artistico portato alla tradizione del colorismo lagunare cinque-settecentesco aggiornato sull’impressionismo e sul postimpressionismo, che trova il sostegno di valenti critici e influenti fautori di belle arti in città quali Nino Barbantini e Gino Damerini.Tuttavia nel corso degli anni ’20, grazie alle importanti rassegne di cui Venezia è sede, penetrano anche in laguna le riforme in chiave “neoclassica” lanciate da Roma e in particolare da Milano, dove Margherita Sarfatti – per altro veneziana di origine – invitava gli artisti a “una nuova e arricchita saggezza” nella ripresa dei valori sacri della tradizione italiana. Proprio nella Biennale del 1924, in cui esordisce timidamente Mattiuzzi nella sezione degli acquarelli, è presente con una mostra personale, in cui espone ben 25 dipinti, Ubaldo Oppi, artista già presente alle mostre di Ca’ Pesaro d’anteguerra, ora completamente rinnovato in chiave di “nuova oggettività”. Pur osteggiata dai critici e in minoranza rispetto alla pittura ispirata al colorismo lagunare, si afferma dunque anche a Venezia una pittura figurativa di saldezze plastiche, fondata su sicurezze disegnative, che vede protagonisti il già ricordato Oppi, Bortolo Sacchi, Cagnaccio di San Pietro, Dino Martens, Guido Cadorin, ciascuno interprete in chiave strettamente personale di un plasticismo pittorico dai risvolti talora simbolisti. E’ a questo filone di rinnovato classicismo che si accosta il giovane Mattiuzzi, le cui prime testimonianze note, nature morte come L’anguilla del ’22 o Pesci del ‘23, rivelano una sostanza costruttiva tanto più notevole tenuto conto della tecnica ad acquarello; nella natura morta esposta alla Biennale – Zucche  del 1923 – la forte scabrosità della scorza della zucca intera e l’evidenza quasi architettonica della zucca tagliata denunciano con chiarezza la scelta di un percorso in cui la realtà viene resa per mezzo di un disegno deciso e di un colore costruttivo.

Questa scelta stilistica si precisa nella pittura ad olio, ed in particolare nei ritratti e nei soggetti di figura: qui Mattiuzzi si distingue nettamente dagli artisti veneziani connotati dal “realismo magico” come Ubaldo Oppi, Cagnaccio di San Pietro e Bortolo Sacchi, e anche dai novecentisti di più stretta osservanza come Cadorin e il Virgilio Guidi dei primi anni veneziani. Egli elabora infatti una pittura “alta” in cui le forme plasticamente tridimensionali sono esaltate da un colore luminoso che accampa con decisione la figura nello spazio; una pittura connotata da “nitidezza compositiva, chiarezza di lettura, morbidezza cromatica, assenza di asprezze e dissonanze”  (Castellani), un “classicismo” che l’artista maturo, divenuto fecondo critico d’arte, esalterà come sempre valido e attuale (Attualità del classicismo, in “Corriere degli artisti”, febbraio 1953). E’ una pittura che sembra non tener conto delle correnti coeve bensì risalire, attraverso la lezione di Ettore Tito, professore di figura di Mattiuzzi all’Accademia, al maestro di questi Pompeo Marino Momenti. Ed è lecito chiedersi quanto abbia potuto influire sul nostro giovane artista la mostra dedicata al Ritratto Veneziano del’800 organizzata nelle sale di Ca’ Pesaro da Nino Barbantini nel 1923: è ai ritratti e alle composizioni di artisti come Molmenti, Guglielmo Stella, Napoleone Nani che più somigliano i ritratti aulici e le superfici lucenti di Mattiuzzi, e addirittura sembrano far riferimento alle “grazie femminili” e alle odalische di Natale e Felice Schiavoni i corpi alessandrini delle sue modelle. L’ammirazione per la pittura dell’Ottocento giunge col tempo a vere e proprie ambientazioni d’epoca in soggetti quali  Venditrice di terraglie del 1941 e Ispirazione del 1960. Credo sia importante notare come allo stile aulico delle composizioni pittoriche l’artista approdi attraverso un percorso che partendo dal dato reale – affermerà egli con decisione in un articolo del 1953 che “nessuna forma d’arte che prescinda dalla natura è valida” – se ne appropria per mezzo di schizzi rapidi e sicuri, sublimando in passaggi successivi il soggetto della rappresentazione – figura umana, oggetti, paesaggio – in disegni ugualmente perfetti nella finitezza, a testimonianza di una tecnica impeccabile e di una professionalità dai risvolti etici: attraverso “la forma e la superficie” si raggiunge in tal modo “un realismo di sostanza e di contenuto”. Su queste basi professionali e morali si fonda l’arte di Ernesto Mattiuzzi: a testimonianza, seppur subliminale e indiretta, dell’alta considerazione in cui egli teneva il suo lavoro stanno una serie notevole di autoritratti in cui si rappresenta all’interno dello studio, circondato dalle sue opere (quasi sempre identificabili) e dagli strumenti del suo operare: tavolozza, cassetta dei colori, pennelli, tele; ma, ad asserire l’importanza che egli attribuiva al disegno, si rappresenta in un ritratto brandendo la matita, e in un altro esibendo sul tavolo in primo piano il volume in cui erano raccolti i suoi disegni; e in una composizione dal sapore simbolista in cui si rappresenta, tagliato il ritratto alle spalle nude,  tra un gatto nero e la Morte, il teschio è coronato d’alloro a prefigurare la gloria futura che gli arriderà.

 

La convinzione di praticare una pittura dai risvolti universali fa si che egli prescinda dalle correnti artistiche vigenti, alienandosi il rapporto con gli altri artisti e con i critici: egli lavorerà per tutta la vita in una sorta di splendido isolamento, contestando, con la fedeltà al suo stile e soprattutto con una fluviale attività di critico, gli artisti, i critici, le mostre, i mercanti e negando validità alle correnti informali e astratte. Cosicché, attivo alle prestigiose mostre veneziane durante il ventennio, gli verrà negata la presenza alle Biennali del dopoguerra da cui si sentiva ingiustamente escluso. Compensò la mancanza di inviti alle rassegne ufficiali con mostre personali in spazi pur importanti a Roma, Milano oltre che nella stessa Venezia; e i figli Mario e Gustavo, dopo la sua morte, hanno richiamato l’attenzione sulla sua opera con numerose mostre, corredate da notevoli saggi critici, tra i quali trovo opportuno ricordare, per l’acuta analisi storica e filologica, quello di Corrado Castellani in occasione della mostra per il centenario della nascita dell’artista nella Casa Museo di G.B. Cima a Conegliano.

Ora, a trent’anni dalla scomparsa, la presente rassegna offre l’occasione per nuove riflessioni sulla sua opera: per meglio comprenderne lo spirito si è ritenuto opportuno proporre un percorso per temi, offrendo inoltre la possibilità di valutare, almeno per alcune opere, il disegno preparatorio accanto al dipinto a olio. Una contenuta serie di autoritratti di piccolo formato, disegni a matita o inchiostro, esemplificano la non comune abilità di Mattiuzzi, fin dagli anni giovanili, non solo nel rendere l’aspetto fisico ma anche nell’introspezione psicologica: è singolare per altro che egli tenti un percorso retroattivo traendo un ritrattino da una sua foto all’età di quattro anni; seguono alcuni autoritratti di celebrazione professionale, cui si è accennato innanzi; vengono quindi presentati alcuni ritratti esemplificativi di un percorso che va dal giovanile Ritratto della madre, quasi austero nella sobrietà del taglio e della descrizione, al raffinato Ritratto di signora in giallo, emblematico del classicismo dell’artista nell’impaginazione sapientemente calibrata, nel raffinato colorismo dell’abito dai luminosi riflessi, nell’algido incarnato del volto che si innalza sopra il busto dal biancore perlaceo.

I ritratti di gruppo, come quello che presenta l’artista con la moglie e la cognata, ma anche il gentiluomo dalla morbida eleganza che attende i compagni di gita che stanno giungendo in motoscafo, introducono alla “modernità” di Mattiuzzi, che in ossequio al suo programmatico confronto con la realtà affronta temi sociali o legati all’attualità: ma, come nota acutamente Corrado Castellani, pur se il suo realismo porta in sé una pacata “cognizione del dolore”, nelle sue opere è assente la denuncia e il riferimento politico; cosicché in un’opera come Il comizio il cui anno di esecuzione, il 1948, richiama conflitti e tensioni, impagina un gruppo di persone affollate alla soglia di una sala, in atteggiamento attento ma serenamente disarmante. Nelle nature morte, soggetto che è congeniale all’artista fin dagli esordi, si esprimono qualità virtuosistiche: fin dall’origine di questo genere del resto – dal famoso Canestro di frutta  del Caravaggio, ai trionfi di fiori, ma anche di carni e di pesci, dei napoletani del Seicento, alle metafisiche composizioni di Zurbaran – la natura morta ha significato il riconoscimento della bellezza nella quotidianità della vita e insieme ha espresso il transeunte e la “vanitas” della bellezza medesima; così che anche il nudo femminile, tanto praticato, e con quale maestria, da Mattiuzzi quale omaggio a un ideale di bellezza classica si associa alla vanità dell’oggetto – le modelle dalla carnale procacità si confrontano e si confondono con lenzuola di raso ed elementi di arredo – fino al presagio dell’estrema punizione nel riverbero del mito di Narciso. Una particolare riflessione meritano i paesaggi, in cui Mattiuzzi, pur affascinato in gioventù dal vedutismo antico quale si manifesta nel Molo visto dalla colonne della dogana del ’29, o dal paesaggismo ottocentesco come in La pineta lungo il fiume del 1937, non può prescindere da influssi impressionisti non solo in presenza di eventi fenomenici fissati in opere quali Chiaro di luna e Nevicata, ma anche nella resa per effetto di macchia di vedute cittadine (Chioggia) o montane (Pozzale); si dimostra inoltre attento al paesaggismo novecentesco in efficaci composizioni di rarefatta monumentalità compositiva (Verso sera, 1957); e offre spunti di neorealismo di carattere quasi cinematografico la visione vivacissima di una Via di Napoli (1953) animata dalla gente, dal vento e dal sole.

Eugenio Manzato

(Testo tratto dalla presentazione del catalogo monografico sull’opera dell’artista Ernesto Mattiuzzi, pubblicato dalla Edizioni Piazza – Treviso, tenuta dal prof. Eugenio Manzato in occasione della Mostra Antologica retrospettiva organizzata dalla Città di Conegliano con il patrocinio della Regione Veneto  provincia di Treviso svoltasi in Dicembre 2010 presso il Palazzo Sarcinelli di Conegliano)

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